I parlamentari non pubblicano i curricula dei loro collaboratori

(Articolo pubblicato su Verità & Affari il 24.07.2022 a firma di Stefano Iannaccone e Carmine Gazzanni)

Assunzioni a mano libera, pescando a piacimento, e mettendo le informazioni sotto chiave. Spesso a danno di profili professionali adeguati. Nel Parlamento italiano non è terminato il far west dei contratti dei collaboratori: nessun cambiamento è stato realizzato in questa legislatura nonostante le svariate promesse del presidente della Camera, Roberto Fico, a cui hanno fatto seguito gli impegni assunti dalla presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Ma chi ci aveva messo la faccia, in particolare, era il numero uno dell’Aula di Montecitorio. Salvo prendere atto di una situazione che non è mutata di una virgola, come confermano gli ultimi ordini del giorno presentati al bilancio della Camera, che sarà discusso la prossima settimana.
In cima alle mancanze persiste quello della trasparenza, con la possibilità - appunto - di non comunicare chi lavora per i singoli deputati. Un modo che, molte volte, consente di far assumere politici non eletti, compagni di partito in attesa di candidatura, o anche amici degli amici che non si fanno nemmeno vedere dalle parti del Parlamento.
Si tratta della figura mitica del “portaborse”, che però contrasta con il ruolo di #collaboratore #parlamentare, caratterizzato da professionisti degli uffici legislativi o di quelli della comunicazione, che seguono le attività di un parlamentare. Come? Preparando i testi delle proposte di legge, scrivendo le interrogazioni o le attività legate all’ufficio stampa.
Così, proprio l’Associazione italiana collaboratori parlamentari (Aicp) ha ribadito la richiesta di rendere pubblici i curricula di chi viene assunto in qualità di collaboratore, rendendo consultabili, sui siti di Camera e Senato, le informazioni necessarie a ricostruire il profilo. D’altronde così funziona, tanto per fare un esempio, anche al Parlamento europeo, dove gli assistenti di ogni eletto sono noti. La trasparenza, secondo quanto osservano dall’Aicp, sarebbe un passo importante per evitare situazioni controverse.
Il caso principale è quello di Antonello Nicosia, assunto dalla deputata Iv Giuseppina Occhionero, e che usava il tesserino di Montecitorio per entrare in carcere e incontrare i boss, finito ora sotto processo in Appello.
Del resto chiunque ottenga un contratto di collaborazione a Palazzo Chigi o in qualche ministero, è sottoposto a un principio di pubblicità, che riguarda anche il compenso pattuito. In Parlamento, invece, si agisce senza rispondere ad alcun requisito di trasparenza.
Il nodo è tutto nel meccanismo che dà ampio margine di manovra agli onorevoli, che gestiscono un plafond per di 3.690 euro nel caso dei deputati e di 4.180 euro nel caso dei senatori per le spese di esercizio del mandato. Questo budget va rendicontato solo al 50% (l’altra metà è erogata in via forfettaria) e può servire per qualsiasi cosa: dall’organizzazione dei convegni all’utilizzo di reti pubbliche di consultazione di dati, oltre ovviamente all’ipotetica assunzione di un collaboratore. Una libertà di azione su cui, come accennato, Fico si era solennemente impegnato a mettere un freno, addirittura nel 2019: «Lo stipendio del collaboratore deve essere versato direttamente dalla Camera al collaboratore così come avviene nelle altre nazioni europee. Per fare questo ci vuole una delibera dell’Ufficio di Presidenza». La delibera si è però persa nei meandri della legislatura. Eppure, solo lo scorso anno sempre durante il dibattito sul bilancio interno, avevano promesso un cambiamento i deputati Questori, Francesco D'Uva (all’epoca M5S, ora passato con Luigi Di Maio), Edmondo Cirielli (FdI) e Gregorio Fontana (Forza Italia). Adesso però il tempo è scaduto: gli onorevoli pure nella prossima legislatura potranno muoversi come gli pare.

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