Il Fatto Quotidiano - 5 Ottobre

Portaborse in piazza dopo l’ennesimo scandalo. E Bernini (M5s) condannato non paga l’ex collaboratore da 5 mesi

 

Manifestazione di protesta degli assistenti parlamentari dopo lo scandalo costato le deleghe al sottosegretario Rossi. "Stop a contratti in nero, compensi da fame e mansioni inadeguate". E c'è chi porta i figli del deputato a scuola, chi gli fa la spesa. Basterebbe una delibera di presidenza, ma i gruppi non vogliono. E anche i Cinque Stelle non sono immuni: il caso Andraghetti-Bernini e il conto impignorabile

di Thomas Mackinson | 5 ottobre 2017

 

Alla carica di “adesso o mai più”, quasi al crepuscolo della legislatura, scendono in piazza i “portaborse” con flash mob in piazza Montecitorio. L’appuntamento è per il 5 ottobre alle 12.30 e fino alle 14. E chissà se denunceranno vicende come quella, documentata da Le Iene, costata le deleghe al sottosegretario Domenico Rossi che avrebbe fatto assumere come collaboratore fittizio il figlio da un collega parlamentare, che si presta a tenerlo lì a far nulla e però usa la triste circostanza per negare un solo euro di compenso alla propria, che lavora gratis da un anno e mezzo. Alla quale però fa intendere maggior fortuna in caso di un’intesa amorosa. Oppure quello di Lorenzo Andraghetti: l’ex collaboratore del deputato M5s Paolo Bernini, secondo il tribunale di Roma ha diritto a un risarcimento di 70mila euro che però non arriva. Chi non ha in famiglia una storia così? Oggi magari ne arriveranno altre, stando alla chiamata alle armi che recita: “Cari soci, dopo il clamore che i fatti riportati dalla trasmissione Le Iene hanno suscitato, i media nazionali hanno puntato i riflettori su di noi. Riteniamo che questo sia il momento giusto per alzare la voce e metterci la faccia. Molti di voi lo hanno richiesto. È il momento di farlo e farlo bene”.

 

Fare cosa? “Alzare la voce” contro i pagamenti in nero, lo sfruttamento e le piccole illegalità che sono considerati dai partiti, senza eccezione, una tradizione da osservare con rigore. Per l’ennesima volta chiederanno all’Ufficio di Presidenza di essere riconosciuti e tutelati come categoria, manco avessero datori di lavoro seri. Cosa smentita dal fatto stesso che nessuno, ad oggi, sa quanti siano: il Senato non ha neppure una statistica, alla Camera solo nel luglio e per la prima volta si è tentato di rispondere alla domanda coi questori che alla fine contano 612 contratti tra vecchi cococo, partite Iva travestite da consulenze e tempi determinati. “Ma molti lavorano per 2-3 deputati”, spiega il vice il vicepresidente dell’associazione, Jose De Falco che ribadisce la richiesta. “Una delibera di presidenza con pochi e semplici accorgimenti: fermo restando il rapporto di fiducia con il singolo parlamentare si potrebbe fare come all’estero, dove i collaboratori sono assunti direttamente dalla Camera. In questo modo il Parlamento può gestire direttamente contratti e retribuzioni di tutti gli staff, senza assegnare i rimborsi ai singoli eletti. Sottraendoci tutti dall’arbitrio totale del singolo”.

A qualcuno però, sull’onda dell’entusiasmo, potrebbe scappare qualche altra storiella di inquadramenti da colf (che ancora ci sono), sui deputati che non hanno mai versato i contributi(magari qualcuno di sinistra). Oppure di incarichi non proprio connessi al mandato come portare i figli dell’eletto a scuola, andare alla posta o ritirare un vestito in tintoria. Storie simili che non hanno più colore politico: perfino tra le fila dei grillini c’è chi ha appreso l’arte di passare sulla schiena dei collaboratori, sicché oggi è difficile per qualsiasi gruppo intestarsi la battaglia per i loro diritti. Che poi ti spunta la storiaccia.

Non è un caso, ad esempio, se in piazza Montecitorio non ci saràLorenzo Andraghetti. “Ormai vivo all’estero”, dice mentre proprio da Roma sta partendo per Lisbona. Alla fine ha cambiato mestiere ed è emigrato. E’ l’ex assistente parlamentare del deputato bolognese Paolo Bernini (M5S) che ad aprile ha ottenuto una sentenza“storica” per la categoria: il Tribunale di Roma ha condannato l’onorevole a risarcirgli 70mila euro per licenziamento senza giusta causa nel 2015. In quella si legge che Bernini aveva 10 giorni di tempo per farlo ma lui non ci pensa proprio, fa ricorso (il 2 novembre l’udienza) e in assenza di una sospensiva – dice Andraghetti – “non scuce un soldo”. Così non gli resta che tentare di recuperare il credito ma lo stipendio di un eletto (12mila euro al mese) non è pignorabile, checché ne dicano gli altri grillini che volevano abolire l’ingiusto privilegio. Andraghetti tenta così di aggredire i conti correnti dell’onorevole per recuperare il dovuto, ma la caccia finora ha dato esiti infausti.

Il deputato, contattato dal fattoquotidiano.it, non risponde al telefono ma manda queste poche righe via mail: “La questione è banale e burocratica e sarà chiarita in sede di ricorso in appello che ho ottenuto. Evidentemente sono stati valutati e considerati i validi elementi forniti per ottenerlo.  E, purtroppo, sono stato costretto a ricorrere in sede penale per tutelare la mia persona, il mio operato e i miei familiari”. Punto.

“Mi spiace non essere coi miei ex colleghi domani”, racconta intanto l’ex assistente. “Ma non aspettatevi più di 30-40 persone, anzi se sono tante c’è da brindare. Il fatto è che – come insegna la mia disavventura – i comportamenti coraggiosi di chi denuncia non vengono premiati bensì puniti. E questa scoperta mi ha sconvolto e mi fa pensare che davvero non se ne uscirà. Denunciare per un collaboratore parlamentare equivale a tagliarsi il ramo sotto i piedi, inutile sperare in un altro lavoro in Parlamento. Ecco perché la gente non denuncia. Siamo a fine legislatura. I parlamentari vogliono persone fidate che tengano la testa bassa”.

Certo quella di domani è l’ultima chiamata della XVII Legislatura. Secondo l’Aicp le retribuzioni medie degli assistenti viaggiano tra gli 800-1200 euro, quando il budget per pagarli ammonta a 3.600 euro per deputato alla Camera e 4.100 al Senato. Soldi che vengono erogati per intero all’onorevole che deve rendicontarne solo la metà (mentre l’altra è erogata forfettariamente). Così che sfruttando il collaboratore il parlamentare può mettersi in tasca tutto il rimborso senza sostenere spese reali. “A noi restano solo le briciole”, spiega De Falco. Ma com’è che dopo gli scandali degli anni passati siamo ancora qui a parlarne? Sempre per via di promesse mancate: sul fronte dell’amministrazione l’ultima relazione dei questori al bilancio della Camera dice che non si possono pagare direttamente gli assistenti stante “l’attuale situazione del bilancio”. Inutile contestare che il Parlamento è costato gli italiani un miliardo e mezzo nel 2016 e che dei 977 milioni della sola Camera 81 sono andati in indennità e 63 in rimborsi. Insomma, i soldi non mancano certo. Ci sono varie proposte di legge per regolare tutto, ma nonostante le promesse sono rimaste tali.