Rassegna: Linkiesta su collaboratori parlamentari

 

I parlamentari fanno le leggi, ma pagano i collaboratori in nero

Non chiamateli portaborse. Molti sono esperti di tecnica legislativa, scrivono emendamenti e curano la comunicazione dei deputati. «Ma le Camere non riconoscono la nostra figura professionale». L’associazione dei collaboratori denuncia: «E così molti vengono sfruttati, tra partite Iva e finti stage»

di  Marco Sarti

 

Portaborse è un termine riduttivo, anche un po’ offensivo. I collaboratori parlamentari sono molto di più. Esperti di tecnica legislativa e di diritto costituzionale, spesso scrivono in prima persona emendamenti e interrogazioni. Sono abili comunicatori: organizzano convegni, conferenze stampa, gestiscono i social network di deputati e senatori. Professionisti ricercati, ma molto spesso sfruttati. In Italia non si sa neppure quanti sono. Nonostante le insistenze, gli uffici di Camera e Senato non hanno ancora reso noti i numeri della categoria. Nel frattempo alcuni di loro sono costretti a lavorare fuori dalle regole: partite Iva, stage gratuiti, qualcuno viene persino pagato in nero. «È vero, continuano a esistere anche queste situazioni - racconta Valentina Tonti, presidente dell’Aicp, l’associazione italiana collaboratori parlamentari. «Èd è inconcepibile che avvenga in Parlamento, in quella che dovrebbe essere la casa della legalità».

L'associazione è nata un paio di anni fa. Oggi tra i propri iscritti conta almeno 200 collaboratori di deputati e senatori, rigorosamente di tutti i colori politici. Come trasversali sono, purtroppo, i casi di abuso. «Il malcostume è diffuso - spiega la presidente - in tutti i gruppi politici ci sono parlamentari che si comportano correttamente e chi si approfitta della situazione». I collaboratori denunciano l’incredibile opacità della loro condizione. «Oggi il Parlamento italiano si contraddistingue per la totale assenza di regolamentazione del rapporto di lavoro tra il collaboratore e il deputato». Il sistema è semplice. All’interno della retribuzione, ogni parlamentare può contare su un apposito rimborso spese per l’esercizio del mandato. Per i deputati la cifra arriva a 3.690 euro mensili (qualcosa di più per i senatori). Sono soldi che possono essere usati per consulenze, organizzazione eventi, sostegno delle attività politiche. Ma anche, soprattutto, per pagare i propri collaboratori. Con una sola accortezza: fino al 50 per cento dell’importo, le spese devono essere attestate. Per la parte restante il rimborso avviene forfettariamente. Di fatto, come spiegano i collaboratori, «ogni rapporto di lavoro viene demandato a una contrattazione diretta con il singolo deputato, senza alcun tipo di standard contrattuale di riferimento né controllo».

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. E le irregolarità purtroppo non mancano. «Già nella passata legislatura, a seguito dei ripetuti scandali sulla condizione dei collaboratori di deputati e senatori, l’ispettorato del Lavoro di Roma decise di intervenire per fare luce sul fenomeno» ha denunciato recentemente la presidente Tonti. «I dati di allora, resi pubblici solo in parte, ci hanno descritto una realtà allarmante: circa il 20 per cento dei contratti sottoscritti alla Camera avevano profili di irregolarità». Numeri che non tengono conto, peraltro, del lavoro nero. Difficilmente individuabile. Oggi la situazione non sembra molto diversa. In passato l’Aicp si è rivolta ai questori di Camera e Senato per conoscere i dati relativi ai contratti e alle retribuzioni medie dei collaboratori parlamentari. Invano. In assenza di risposte, lo scorso autunno è stata avviata un’indagine interna per provare a inquadrare la situazione. Un questionario anonimo per conoscere la condizione dei colleghi e fotografare la realtà. Gli stipendi sono bassi: dai primi dati è emersa una retribuzione media di 1.100 euro al mese. Le tipologie contrattuali variano molto, in base alla sensibilità del datore di lavoro. La maggior parte sono co.co.co., «le forme contrattuali che costano meno» spiega Tonti. Ci sono alcune partite Iva, qualche stage gratuito. «Non mancano diversi casi di pagamento in nero». Totale o parziale.

Sono dati che fanno riflettere, anche considerando la professionalità della categoria. In almeno il 50 per cento dei casi, infatti, gli intervistati vantano una specializzazione post laurea. Collaboratori spesso preparati, con esperienza e studi alle spalle. «Se un giorno decidessimo di scioperare, molti deputati non potrebbero presentare interrogazioni ed emendamenti perché non saprebbero neppure dove andare a depositarli», ha spiegato ieri in una conferenza stampa alla Camera il vicepresidente dell’associazione, Jose De Falco. Un incontro organizzato anche per presentare la vicenda di Lorenzo Andraghetti, ex collaboratore parlamentare di un deputato Cinque Stelle che dopo essere stato licenziato ha visto riconosciute le sue ragioni in tribunale (con un risarcimento di 70mila euro).

L’associazione è impegnata per trovare una soluzione. Anzitutto offre sostegno legale a tutti gli iscritti che vogliono denunciare le irregolarità subite. Per il futuro si lavora su una nuova gestione degli collaboratori parlamentari. Aicp chiede un intervento dell’Ufficio di presidenza di Montecitorio. «Basterebbe una delibera di quest’organo per regolamentare il fenomeno» ha spiegato in conferenza stampa il vicepresidente Lorenzo Carrozza. Come cambiare la situazione? Le proposte di intervento sono poche e di facile attuazione. Fermo restando il rapporto fiduciario con il singolo parlamentare, si chiede che i collaboratori vengano assunti direttamente dalla Camera (come peraltro avviene già all’estero). In questo modo il Parlamento può gestire direttamente contratti e retribuzioni di tutti gli staff, senza assegnare i rimborsi ai singoli eletti. Con l’istituzione di uno specifico fondo in bilancio si potrebbero individuare anche apposite tipologie contrattuali e fasce retributive. E chiudere una volta per tutte lo scandalo dei collaboratori pagati in nero. Un fenomeno che «oltre a rappresentare un insopportabile sfregio alla legalità e alla dignità personale del lavoratore - insiste l’associazione - getta discredito sull’intera Istituzione».